Intervista a Salvatore Silvano Nigro

nigroSalvatore Silvano Nigro è professore ordinario di Letteratura presso la IULM di Milano. E’ stato critico militante di «Paese Sera» e redattore, presso la casa editrice Laterza. Collabora al domenicale del «Sole 24 Ore». È stato fellow a I Tatti della Harvard University.
Ha insegnato a Parigi (alla Sorbonne e all’École Normale Supèrieur), a Tours (Université Rabelais), a New York (New York University), a Bloomington (Indiana University), a Pisa (Scuola Normale Superiore).
Nel 2002 la Chicago University gli ha conferito una laurea honoris causa. Si è occupato di Dante,  di letteratura e arti figurative nel Cinquecento, della letteratura barocca, di Alessandro Manzoni, delle avanguardie novecentesche. Ha collaborato alla Letteratura italiana, diretta da Alberto Asor Rosa per Einaudi; agli Annali della Storia d’Italia; e alla Storia dell’arte sempre per Einaudi. Il Principe fulvo è la sua pubblicazione più recente ( con  Sellerio).

1)Quella del Principe fulvo si presenta come un’interpretazione del  Gattopardo  ‘eretica’,  se confrontata con la tradizione, critica e  saggistica, attenta, per lo più, all’aspetto storico  e/o letterario del personaggio e del romanzo. Qual è stato l’Input di questa  ‘rilettura’?

Qualche anno fa ho pubblicato, insieme a Gioacchino Lanza Tomasi, le lettere inedite di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il libro è stato tradotto in tutto il mondo. Ha avuto centinaia e centinaia di recensioni. E tuttavia nessuno ha pensato che, grazie ai nuovi documenti, potesse e dovesse cambiare la lettura del Gattopardo. A questo punto ho pensato che era mio dovere provare a rileggere il romanzo di Lampedusa alla luce delle nuove acquisizioni. E’ così che è nato Il Principe fulvo. Ciò che può sembrare “eretico” è soltanto un più nuovo e documentato approccio critico.

2)Il suo è, soprattutto, uno sguardo sul Lampedusa uomo, scrittore e lettore, figure che inevitabilmente riaffiorano non solo nel capolavoro lampedusiano, ma anche nelle opere dello stesso autore che  di quel capolavoro hanno preannunciano  i caratteri e i contenuti. Quali sono, a suo avviso, le contraddizioni  tra questi  tre  ruoli?

Non credo che ci siano contraddizioni. Lampedusa è anche ciò che ha letto. Ed è in rapporto con il personaggio del suo romanzo almeno per quel tanto che riguarda il senso della fine: della fine di un mondo; e di una vita (vorrei ricordare che l’autore del Gattopardo era gravemente malato; morirà ancor prima che il romanzo venisse pubblicato).

3) Lei ha magistralmente  orchestrato diversi livelli  semantici appartenenti  ad ambiti diversi , pur se complementari tra loro. Dietro le scene più celebri e intense del capolavoro di Lampedusa  lei rileva suggestivi  richiami  pittorici, inconsapevoli  bagliori mnemonici, che suggeriscono  al lettore una chiave ermeneutica  di natura allegorica.

Lampedusa era un dilettante d’arte, amico di Berenson e di Venturi. Non può sorprendere quindi la cura con cui tratta nel romanzo architetture e arredi, connotandoli storicamente e socialmente: da una parte ci sono il manierismo e il barocco del Principe, dall’altra c’è il neoclassicismo della classe borghese in ascesa. La stessa struttura del Gattopardo è orchestrata su un quadro: quello di Greuze, contemplato dal Principe nel momento in cui avverte l’arrivo della morte.

4) I rapporti del Gattopardo con la Storia sono inevitabili,  ma ancor più inevitabili sono i rapporti del romanzo con l’evoluzione ideologica della coscienza di Lampedusa.  Dapprima un’ammirazione (comprovata da un carteggio) per il Fascismo, poi il cambiamento repentino dopo la decisiva e nefasta data del 1938. Ancora una volta è un’immagine letteraria ad abbagliare il lettore,  ad attirarlo ammaliato in quell’allegoria che mostra colonne di formiche che rispecchiano la cupa coreografia degli incolonnamenti dei soldati fascisti durante le parate.

Dentro il romanzo di Lampedusa si avverte il disagio dell’autore per la sua adesione giovanile al fascismo. Ci accorgiamo di questo solo se stiamo attenti alle allegorie nascoste tra le pieghe dell’opera, che finge di essere un romanzo storico per nascondersi come romanzo fantastico.

5) Ma i rapporti tra il capolavoro lampedusiano e la Storia non si traducono soltanto nelle convergenze o divergenze  tra date, fatti ed evoluzioni o involuzioni. Questi rapporti riaccendono  certi aspetti ‘caldi’ di una lunga querelle tra Storia e Letteratura, mai sopita e accantonata, che trova i suoi risvolti, contraddittori, nella peculiare immagine della Sicilia. Da Verga in poi, ma forse ancor prima, da Domenico Tempio, fino ad arrivare a Sciascia, l’immagine della Sicilia letteraria  diventa cupa e frammentaria.  E la Sicilia ‘storica’ non corrisponde più a quella dei romanzi dei ‘veristi’. Dal suo punto di vista in che termini  spiegherebbe questa Sicilia divisa nella sua identità tra Storia e Letteratura? Inoltre:  il lungo e animato dibattito tra storici e letterati  troverà, prima o poi, un punto di convergenza con il quale porre una tregua?

L’idea che della rivoluzione aveva Lampedusa (“levati tu, che mi ci metto io”) è quella di Verga, e persino di Sciascia. La Sicilia di Lampedusa sembra astorica, solo perché ci si ostina a leggere il suo romanzo come romanzo storico. Il “corpo” della Sicilia è il “corpo” della Sirena. Siamo dentro una dimensione fantastica. La chiave di lettura del Gattopardo è nel racconto dedicato alla Sirena.

6) Spostando nuovamente lo sguardo sul contesto  storico europeo:  Il riflesso della cultura degli anni ’20-’30  è abbastanza evidente nella formazione di Lampedusa e a tal proposito  c’è una superba analogia  (da lei scovata ‘segretamente’) suggerita da  Soldati  (negli appunti  di regia per un film mancato) a cui non si può restare indifferenti: quella  tra il Gattopardo e la Recherche. Potremmo  farci quindi sedurre da questa somiglianza  che ci suggerirebbe,  per entrambi i romanzi, la definizione debenedettiana  di ‘lungo pianto accorato’?

L’appendice su Soldati lettore del Gattopardo è una sorpresa per tutti i lettori. Di questi appunti non ne sapeva niente nessuno. Soldati vede quanto di Proust ci sia nel romanzo di Lampedusa, soprattutto nella sensualità che ammanta la fine di un’epoca.

7) Anche Lampedusa, così come il Principe, Proust e Marcel, oltre all’immortalità, avrebbe cercato  attraverso la scrittura di quel suo grande romanzo  una  redenzione?

Per Lampedusa è da escludere qualunque forma di redenzione. L’autore insiste sulla coerenza di un protagonista che non vuole sopravvivere allo sfacio del suo mondo di vecchio borbone; e neppure vuole tradirlo. Il Principe del romanzo muore con una divisa addosso, che è quella leonina dell’Ercole Farnese  (ultima gloria di una società fatta ormai di “minchioni”).

8) E poi c’è Dickens: più celato, mascherato, non abbastanza imitato,  come lo stesso Lampedusa avrebbe voluto.

Dickens è un altro amore letterario di Lampedusa. E’ presente soprattutto nel “romanzo” epistolare con i cugini Piccolo: là dove Lampedusa si atteggia a corrispondente del Circolo Bellini di Palermo (fatto di gatti che credono di essere tigri).

9)Per concludere riprendo  questo passo del Gattopardo da lei citato nel suo libro: ”Come quelle sinfonie che sopravvivono alle opere dimenticate cui appartengono e che contengono accennate, con la loro giocosità velata di pudore, tutte quelle arie che poi nell’opera dovevano essere sviluppate senza destrezza, e fallire” e le chiedo:
a quali  identità o realtà letterarie, artistiche, storiche, sociali, culturali, attribuirebbe lei, oggi, questa sublime,  lampedusiana/proustiana descrizione?

Non rispondo a questa domanda, perché la risposta è implicita nel mio libro, Il Principe fulvo dell’editore Sellerio. Dovrei riassumere il libro. Forse è meglio che il lettore se lo legga, e tragga da sé le conclusioni.

Sabina Corsaro

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