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Intervista a Lucio Ranucci

Lucio Ranucci è uno degli esponenti della corrente conosciuta come ‘cubismo realista’. Nato nell’attuale Lecco, oggi lavora e vive in  Costa Azzurra.

1) Nel 1998 lei, Maestro, scriveva: “Con la pittura ci sono ancora mille e mille cose da raccontare e mille e mille modi di raccontarle. Senza per questo… lanciare mode effimere o cercare perennemente di scioccare…”. Da quelle sue parole sono passati 10 anni e in ambito artistico si sono creati tanti sperimentalismi, più o meno riusciti. Io le chiedo: qual è oggi il parametro con cui si può rilevare il confine tra il messaggio Artistico e gli effimeri segni di una pseudo arte? L’arte concettuale, in tal senso, che posto occupa nella ‘categoria’ Arte?

Mi lasci dire, per rispondere alla sua prima domanda, che i 10 anni trascorsi da quando scrissi “Il re nudo nel mondo della pittura” non mi hanno certo spinto a cambiare d’opinione. E’ vero che si sono creati nuovi sperimentalismi ma, a mio parere, non hanno fatto altro che esasperare l’effimero e il grottesco.

2) Continuando sull’arte concettuale io, da fruitore/critico, confesso di trovare non poche difficoltà nel valutare i prodotti di questo tipo di espressione artistica (o di creatività) ma so che devo mettere da parte i parametri legati alla tradizione, (all’interno della quale includo anche l’arte moderna), nella quale la proporzione tra bellezza, forma ed idea, è sovrumana. Oggi una brutta opera, d’impatto crudo e violento, può avere un messaggio forte, valido ed incisivo? E’ ancora possibile utilizzare gli antichi parametri valutativi?

E’ proprio questo il punto. Non si tratta di mettere da parte i parametri legati alla tradizione per guardare l’arte concettuale; è necessario partire da concetti nuovi che non hanno più nulla a che fare con la pittura. E’ vero, come dice lei, che una cosa brutta (mettiamo una carcassa di cavallo squartata ed esposta tra una fila di mattoni) può avere un impatto psicologicamente forte su chi la guarda, ma è anche vero che è difficile capire la necessità di esporla in una galleria o in un museo.

3) La sua arte tiene in sé una denuncia sociale ed in parte (o di conseguenza) di tipo esistenzialista. Secondo lei l’Arte quale funzione ha nella società umana? Può esistere un’Arte esente da un impegno o un uso Civile? E che valore ha?

Mi chiede se può esistere un’arte esente da impegno o valore civile. Penso di sì, anche se personalmente cerco di riflettere nel mio lavoro quello che penso del mondo che mi circonda.

4) Lei ha conosciuto in modo diretto le vicissitudini del popolo latino-americano tra gli anni Cinquanta-Sessanta. A distanza di tempo, e valutando il tutto dal di fuori, quante analogie ha trovato con altri popoli? Quanto distava (se distava e dista) socialmente l’America Latina dall’Italia o dall’Europa?

L’America Latina degli anni Cinquanta-Sessanta era una specie di pentolone nel quale ribollivano, insieme alle più stupide e brutali dittature militari, i fermenti di slanci liberatori. L’Europa di oggi a volte mi dà l’impressione di un bambino gigantesco che erra in stato confusionale in cerca di qualcosa che ancora non ha definito.

5) Mi rivolgo adesso, per un attimo, al Ranucci giornalista. Quanto è stata importante per lei questa esperienza e in che modo ha (inconsciamente o no) inciso sulla sua scelta artistica in rapporto ai soggetti, ai temi, alle atmosfere e persino ai colori poi trattati nei suoi dipinti?

Non so dirle se la mia esperienza come giornalista possa avere influito nella mia scelta artistica, ma posso assicurarle che ha avuto sicuramente un’importanza fondamentale nella mia vita.

6) Senza l’esperienza giornalistica i dipinti di Lucio Ranucci sarebbero stati diversi?

Le ripeto: ognuno è figlio delle proprie esperienze. Quando si cerca di esprimersi su una tela o su un muro probabilmente esse riaffiorano.

7) Che colore ha secondo lei la sofferenza? E la censura è più crudele per un giornalista o per un artista?

Bella domanda. Il colore della sofferenza? Penso che la sofferenza sia priva di colore, completamente atona. Le attribuirei, piuttosto, un sapore; amarissimo, nauseante. Quanto alla censura, che sia nel giornalismo o nell’arte, quella che è inaccettabile è la censura dello spirito.

La sua arte, dal mio punto di vista, è a metà tra il sublime delle forme e l’incisività del messaggio sociale. Una sorta di coltello la cui lama è impregnata di nettare divino. Lei la vede così in parte?

La sua immagine riguardo la mia pittura mi piace. E’ vero, a volte i pennelli possono essere come un coltello.

9) Come si può preservare l’Arte dall’omologazione culturale, dalla speculazione e dal consumismo di massa che impera attorno a noi quotidianamente, ponendoci davanti falsi miraggi che si presentano come prodotti artistici?

Beh, vorrei proprio saperlo! Credo, comunque, che bisogna avere il coraggio di ribellarsi al ricatto ‘pseudo culturale’ ed è necessario ritrovare la risata liberatoria.

10) Un’ultima domanda, che forse è più un’intima richiesta.
Io sono una siciliana legata alla mia terra dal più forte dei sentimenti, quello che scaturisce da un inscindibile connubio di amore ed odio, la cui profondità scava fin dentro le vene. Come ritrarrebbe la Sicilia, con quale dei suoi quadri esistenti o con quali semplici colori? La presunzione sarebbe quella di suggerirle, un giorno, un dipinto sulla mia terra (che è poi la terra di Guttuso e il ponte tra le più belle civiltà), ma sarebbe già tanto se lei me lo lasciasse solo immaginare con la sua creatività, attraverso poche parole.

Sono molto legato alla Sicilia dove ho anche lavorato a metà degli anni Sessanta nel “Giornale di Sicilia”e dove un mio romanzo sull’America Latina, I Colonnelli, è stato pubblicato da Flaccovio nel 1966. Per ciò che riguarda i miei quadri in molti di essi si possono trovare riflessi siculi. Se dovessi proprio indicarne uno direi La grande mattanza, una tela di 1 metro e 50 x 2,50, che si trova attualmente nel Principato di Monaco presso un collezionista privato.

Sabina Corsaro