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E. Hopper: uno sguardo indiscreto oltre le pareti

La valle del fiume di Hudson, le rotaie, le case vittoriane; la fisicità tagliente di letti, finestre, in netto contrasto con la fragilità della condizione umana. Hopper ci ammalia e affascina con l’irrealtà della realtà che rappresenta; ci violenta nella nostra tenue pudicizia morale, e lo fa con garbo, con precisione, con arte. Fissa nelle sue tele quello che non è lecito vedere, gli atti sconosciuti della quotidianità censurata, quella che finisce sulla soglia di una porta di casa o di una camera di Motel. Gesti proibiti, inaccessibili in altro modo, rubati nell’istante clandestino che vive nell’immaginazione del pittore, che non equivalgono ad ‘atti impuri’.
Hopper non focalizza lo sguardo curioso sulla sensualità volontaria ed esplicita del soggetto; i corpi nudi delle donne, nei suoi dipinti, sono fissati in un’eterea intimità, dove il biancore della pelle o la mano poggiata su una gamba non esprimono messaggi maliziosi ma una sorta di sacro silenzio, di dialogo rarefatto tra il corpo e la propria interiorità. Quella nudità ha una sua naturalezza e nello stesso tempo una sua innocenza, vicina a quella presente in certi quadri d’Ingres, di Goya e anche di Degas. In Hotel Room del 1931, ad esempio, il momento di intensa solitudine del soggetto è reso all’interno di una prospettiva ‘a taglio’ che inevitabilmente ci riporta alle angolature, ai tratti tagliati dei dipinti di Degas.

Hopper nasce a Nyach, una piccola cittadina sul fiume Hudson (soggetto che sarà ripreso più volte nei quadri aventi come tema il paesaggio). Nel 1900 si trasferisce a New York per frequentare, poi, la New York School of Art. Uno dei suoi più importanti insegnanti, Robert Henri, (anch’egli artista), nel 1906 lo esorta a trascorrere un breve periodo a Parigi per vedere da vicino i quadri degli impressionisti francesi. Da quei quadri Edwuard subisce il fascino irresistibile della luce, cogliendone l’importanza ‘semantico-artistica’. Sarà, difatti, proprio la luce uno dei tratti peculiari dei suoi dipinti, poiché essa corrisponderà ad una vera e propria scelta espressiva all’interno del suo linguaggio ‘visivo’. La luce è nei dipinti di Hopper una sorta di proiettore che magicamente svela l’intima essenza degli oggetti rappresentati, così come si può osservare anche nei quadri di artisti del passato, tra cui Chardin. Il legame tra tradizione e innovazione in Hopper non è di natura ‘antitetica’, poiché esse equivalgono a due aspetti che si completano, in quanto la geometricità artistica dei pittori quattrocenteschi (qualche critico ha rilevato l’allusività alla tecnica di Piero della Francesca) convive accanto alla modernità dell’architettura americana degli anni Trenta e Quaranta.
Gli edifici, le tipiche houses americane, così care e familiari ad Edward, sono inseriti insieme a distese di grano o a panorami marini, e l’artista sembra fondere il dato oggettivo con quello soggettivo-immaginario. In uno dei suoi più grandi capolavori del 1939, Cape Cod Evening, il boschetto che attornia l’edificio corrisponde a quello reale ma il prato erboso e le due figure sono delle proiezioni mnemoniche dell’artista, il quale accanto alla riproduzione di una struttura reale pone l’elemento immaginato.

Tuttavia i soggetti umani dei suoi quadri non trasmettono emozioni, non esprimono sentimenti, sono vicini alla condizione di comparse. Il fine di Hopper non sembra essere quello di valorizzare l’ambiente a scapito dell’uomo; l’ambiente per Hopper è l’uomo: gli oggetti di una stanza, geometrici, dalle linee rette e ben calcolate, sembrano parlare nel loro freddo silenzio e persino l’assenza dell’uomo in Rooms by the Sea, del 1951, è in realtà un’allusione al profondo vuoto che c’è nella condizione umana, in cui il bisogno disperato di una comunicazione tra l’uomo e la natura è tradotto in una porta aperta e sospesa sul mare.

Le figure umane dei quadri di Hopper più che rappresentare degli attori rappresentano delle comparse. Gli ambienti americani da lui ritratti sono stati da sempre associati alle scene di importanti film hollywoodiani. L’ufficio, il bar, la camera di un motel e il teatro, sono resi da Hopper attraverso lo sguardo della cinepresa. Molti registi hanno preso spunto proprio dai suoi quadri per poter realizzare le immortali scene dei film più rappresentativi dell’America di quel periodo. Basta citare i nomi di Alfred Hitchcock, Chantal Akerman e Wim Wenders. Il quadro di Hopper House by the Railroad del 1925 ha ispirato il Bates Motel di Hitchcock in Psycho, girato nel 1960.
Sguardo indiscreto quello di Hopper, sovversivo persino, attraverso il quale s’infrange la privacy dell’animo umano, attraverso il quale si assapora l’insoddisfazione dell’uomo, cosciente di vivere in una Città agiata nella quale, però, egli nasconde, costantemente, un disagio interiore che impregna la sua minuta quotidianità.

SC