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La Matita

Giorgio Franzaroli detto Franz
La prima storiella di Giorgio Franzaroli apparsa su Frigidaire è del novembre 1993. Si intitolava L’esca. C’è un tipo che pesca usando come esca un piede umano, subito al piede s’aggrappano una quantità di piccoli pesciolini che divorano il piede, la canna e il pescatore (Continua…) fino a risparmiarne solo un piede. A questo punto arriva un altro pescatore che trova il piede e lo attacca alla canna per usarlo come esca. Si capisce così che il piede-esca è una trovata dei pesciolini per mangiarsi i pescatori.

Gli dedicai quasi un’intera pagina del giornale, che allora usciva in formato tabloid. Mi era subito piaciuto il suo segno svelto, essenziale, veloce. Mi ricordava il mio carissimo amico Jean Marc Reiser, che era morto giovane nell’83 e che avevo conosciuto nella redazione di Charlie Hebdo a Parigi nel 1978. Questo Franzaroli non aveva ancora le divine slabbrature, la fretta geniale del Reiser più maturo, ma dal suo segno svelto, dal gusto di osservare con umana ironia le tante assurdità della vita quotidiana, trapelava la stessa allegria, la stessa dolente e straripante joie de vivre del grande francese.

Da allora ho pubblicato su Frigidaire, su Il Nuovo Male, sulla Piccola Unità e ancora su Frigidaire, centinaia, forse migliaia di altri disegni di Franz: molte storielle, infinite vignette.

Con i mesi, con gli anni le qualità grafiche e l’invenzione torrenziale di questo autore eternamente giovane, almeno per me che lo precedo di una ventina d’anni, si sono moltiplicate.

Alla capacità di osservazione sarcastica e talvolta crudele delle vicende di uomini e donne senza nome, i nostri simili più simili o più diversi, si è aggiunta nel tempo la denuncia surreale, matura, cattiva, ma mai gratuita, delle mostruose tare del ceto politico e delle classi dominanti. E all’iniziale somiglianza di segno con il classico Reiser si è sostituita una robusta e originalissima ricerca descrittiva, l’invenzione di facce scavate, di corpi deformi o informi, un gusto per la caricatura selvaggia e irriverente che lo differenzia da tutti gli autori satirici italiani contemporanei e ne fa un unicum irripetibile.

La maturazione artistica di Franz è del resto coincisa con il lungo ciclo berlusconiano, di cui forse solo ora si intravede la fine, salvo che il dopo potrebbe essere anche peggiore. In questi anni la società italiana è diventata sempre più malvagia, grondante umori corrotti, occupata da personaggi orrendi, cinici, completamente assorbiti dalla corporeità più dozzinale, carichi di un’energia sessuale malata e ossessiva. Di questa degenerazione progressiva Franz è stato il narratore più fedele, senza pudore come imponeva la materia dei suoi racconti. La berlusconizzazione dell’Italia è diventato con lui romanzo grafico raffinato, guerra satirica, sfida vitale. Dalla lunga serie di vignette sulla Cavalla e il Cavaliere degli anni ’90 alla Berlusconeide del 2000, passando per le mille ironie sul post-tangentopoli (geniale la presa in giro del famoso “Resistere, resistere, resistere” del giudice Francesco Saverio Borrelli, che Franz collocò in una comica fila di persone davanti a una toilette occupata).

Dei tanti protagonisti negativi di una storia italiana che marcisce precipitando verso l’incultura e il trionfo della rozzezza, Franz è stato per certi versi il cantore sarcastico e irriducibile, il Pasquino sbeffeggiante, il ritrattista più profondo e iperrealista.

Sul piano stilistico la sua è stata una maturazione esplosiva, che ne ha fatto un William Hogarth italiano del 2000, un Hogarth moderno, umile e semplice come i suoi disegni fulminei e fulminanti, ma penetrante e completo non meno del celebre maestro inglese del ‘700. Hogarth raccontò nella sua pittura lussureggiante una società che si andava corrompendo fino a rendere mostruose le facce dei potenti, il nostro Franz racconta due secoli dopo con la leggerezza tutta pop dei suoi disegni una corruzione, una degenerazione anche più profonda. Infatti nel primo c’era ancora sommersa la fiducia nello sviluppo, perché quella società affamata di denaro e piacere era pur sempre l’alba del capitalismo, in Franz c’è invece la lucida consapevolezza che siamo al tramonto di un’epoca storica che non lascia più spazio a nessuna illusione progressista.

Resta però ancora l’arma della satira, la distanza astronomica dell’ironia dalla comicità ridanciana del potere a salvarci dall’abisso della barbarie. E per questa sua fiducia illuminista nella capacità di capire, per questo solido ancoraggio alla ragione, che si manifesta anche nel rigore stilistico del segno e del colore, Franz è davvero una luce allegra, un compagno delizioso di canti e bevute innocenti, un artista puro.

Vincenzo Sparagna